Per caso o per destino sono arrivato a questo blog. Mi sembra un film già visto. Io ho fondato a Potenza nel 1982 Radio Londra una radio al 50% rock. Il progetto fallì negli anni 90 anche per divergenze musicali e così fui costretto a svendere le mie passioni per soldi. Ma dopo una quindicina d'anni mi sono accorto che la radio non è qualcosa di materiale come frequenze e trasmettitori, è qualcosa che tiene uniti indipendentemente dall'Fm. Sto scrivendo un romanzo che racconta la mia storia, vi allego il pezzo dove svelo agli amici di aver venduto la radio.
Giuseppe
Una sera proprio non riuscivo a rasserenarmi. Neanche la coca sortiva l’effetto desiderato. Ero solo Samantha era andato a casa di Cinni a mostrare il suo nuovo seno. Il pensiero della radio girava vorticosamente nella mia mente come un tormento. Vi mancavo da diversi mesi, ma a Potenza la vendita della Radio non aveva ancora prodotto i suoi effetti. A Radio Londra tutto procedeva come se nulla fosse accaduto. Vidi l’orologio, erano le 22,55, l’ora in cui partiva la sigla del mio programma “Follow Me” che nel frattempo Marco aveva affidato a Gigi, un nuovo e bravo speaker. Solo qualche mese prima a quell’ora ero seduto davanti al mixer con i dischi e i cd già in fila e le cassette degli stacchetti posizionate. La nostalgia era tanta e decisi di telefonare in radio. Gigi alzò la cornetta e mi mise in attesa. Sentivo la musica della diretta e il lavoro di Gigi alle prese con la piastra per il posizionamento degli stacchetti. Partì la sigla. «Follow Me, cinquantacinque minuti di easy rock ed affini con Gigi Sassini». La mia voce di qualche anno prima era allegra e gioiosa, scoppiettante e grintosa. Dopo la sigla Gigi lesse un brano del monologo di William Shakespeare estratto dalla tragedia del Macbeth «La vita è solo un’ombra che cammina: un povero istrione, che si dimena, e va pavoneggiandosi sulla scena del mondo, un’ora sola e poi, non s’ode più ». Dopo qualche secondo di silenzio Gigi fece partire l’attacco melodico di One more Night di Phil Collins. «Ti prego dammi ancora una notte, dammi solo una notte perché non posso aspettare per sempre». «Ho accostato Phil Collins a William Shakespeare» disse Gigi «per farvi capire che ogni momento è importante. La vita è solo un’ombra che cammina. Ancora un secondo, una notte per sognare, stare insieme, per navigare lontano». Tutto quello che sentivo dalla cornetta era così vero che quasi stentavo a cedere alle mie orecchie. Gigi era molto bravo ed aveva proprio azzeccato l’inizio del programma. Il contrasto tra Shakespeare e Collins evidenziava ancora una volta la forza della radio. Ero anche io scivolato in quell’attimo. L’idea che di lì a poche settimane Radio Londra avrebbe cessato le trasmissioni mi ammazzava. «Pronto Radio Londra» «Gigi sono Fausto» «Direttore che fine hai fatto ?, qui si sente la tua mancanza, vanno in onda le pubblicità scadute, le tue donne ti cercano». «Chi mi cerca?»« C’è una lettera di una certa Letizia e poi una cartolina di Gaia, ha telefonato anche una tua amica di Università, ma dove sei?». «Sono a Roma, vendo la radio» « No, non puoi fare questo ai nostri ascoltatori» «E’ tardi Gigi, ho deciso, voglio vivere». «In che senso?» «Nel senso che la radio è solo un assillo». «Fausto ricordi le prime parole che hai pronunciato ai microfoni di Radio Londra quasi dieci anni fa» «Certo» «Allora ripetile» «Questa è Radio Londra, noi crediamo che non è possibile allontanare dall'acqua le labbra degli assetati. Radio Londra Potenza, la tua piccola .....grande radio».
In quel momento realizzai che Gigi aveva mandato in diretta la mia telefonata. Fece partire i Survivor con Eyes Of The Tiger. La canzone scelta da Gigi per evidenziare il mio annuncio recitava queste testuali parole «Troppe volte succede cosi velocemente che tu in cambio di gloria svendi la tua passione. Non dimenticare mai i tuoi sogni del passato. Devi combattere per tenerli vivi.» In effetti io non avevo combattuto e mi ero arreso, ma incalzai Gigi. «Ti rendi conto che tu sei un fantasma nella notte e che Radio Londra è morta con Antonino. Chiudi la trasmissione e và a casa». «Aspetta noi siamo ancora in onda e stiamo ancora parlando al nostro pubblico. Facciamo in mondo che questa sia una notte vera salutiamo e ringraziamo tutti coloro che ci hanno scritto o telefonato in questi dieci anni». Partì Enric Clapton con Wonderful Tonight. Giusto il tempo della canzone e Gigi aveva avvicinato al banco regia i registri sui quali meticolosamente avevamo annotato in tutti quegli anni le telefonate e le frasi dei nostri radio ascoltatori. Dall’altra parte del banco regia aveva sistemato invece la cassetta in legno del Rosso Antico nella quale avevamo conservato le lettere e le cartoline dei nostri fedelissimi. Ignorandomi completamente, ma tenendo aperta la cornetta, partì con i saluti ed i ringraziamenti. «A costo che dobbiamo fare l’alba» disse Gigi ai microfoni «prima di spegnere il nostro segnale dobbiamo salutare ad uno ad uno i nostri radioascoltatori» E così partì un’estenuante maratona. Gigi cominciò a leggere tutti gli appunti delle telefonate, anche quelli indecifrabili partendo proprio dal 1982. Ascoltai in silenzio per circa un’ora. Andava avanti imperterrito, anche se la sua voce si andava spegnendo per la stanchezza. Verso le due arrivò Samantha. Alla sua vista interruppi la conversazione.
LA RADIO È SPENTA
Qualche giorno dopo tornai a Potenza, sentivo la necessità di incontrare i pochi collaboratori superstiti e spiegare loro perché avevo venduto la radio. Al mio ritorno i miei genitori mi accolsero come un eroe. Erano felici per i soldi guadagnati e per il fatto che senza radio forse sarei riuscito a laurearmi. Li salutai velocemente senza soffermarmi molto sui dettagli della vendita e sull’acquisto delle quote della Plus. Corsi nella mia stanza ad accendere la radio. I trasmettitori erano accesi ma il segnale era muto. Telefonai per sapere il motivo ma non mi rispose nessuno. Non riuscivo a capire il motivo di quel silenzio, presi il vespino e corsi in Via Mazzini. Salii le scale con affanno ed arrivato dinanzi la porta esitai per un attimo prima di aprire. Entrai in radio tutto era fermo. Il computer della Jingle Machine era in errore, il lettore multi cd inceppato, le carte disordinate. In regia sul mixer c’era il long plain ‘Titanic’ di Francesco De Gregori spaccato in quattro. Sulla copertina di quell’album uscito proprio nell’anno di fondazione di Radio Londra primeggiava ancora nitida la foto di un pesce su un piatto, riposto in un frigorifero accanto ad un limone spremuto. Ma sulla stessa lungo la fascia di colore grigio c’era scritta questa frase «Caro Capitano la nave affonda e noi topi scappiamo. Non ci resta null’altro da fare. Scappiamo perché non abbiamo più niente da perdere. Scappiamo perché sappiamo che quando la prua affonda, trascina giù con sé anche la poppa. Non vogliamo annegare come quelli della terza classe, da topi in gabbia. Con la nave vanno giù i nostri sogni, le nostre speranze. Affondiamo non per l’iceberg, ma per colpa tua, caro comandante. Hai calcolato male la rotta. Addio Capitano Smith». In quel modo i ragazzi mi avevano salutato. Sotto il bigliettino avevano anche ordinatamente riposto in fila, i loro mazzi di chiavi. Quel disco spaccato era il segnale che era davvero tutto finito. Così staccai il contatore e liberai le frequenze dal nostro segnale. Mi precipitai subito giù dalle scale.
2 commenti:
boia! stasera cover band d'ignoranza di guns al border line s'è spaccatto dogni oosa son lesso ! paradise city il DEGENERO !!!
Per caso o per destino sono arrivato a questo blog. Mi sembra un film già visto. Io ho fondato a Potenza nel 1982 Radio Londra una radio al 50% rock. Il progetto fallì negli anni 90 anche per divergenze musicali e così fui costretto a svendere le mie passioni per soldi. Ma dopo una quindicina d'anni mi sono accorto che la radio non è qualcosa di materiale come frequenze e trasmettitori, è qualcosa che tiene uniti indipendentemente dall'Fm. Sto scrivendo un romanzo che racconta la mia storia, vi allego il pezzo dove svelo agli amici di aver venduto la radio.
Giuseppe
Una sera proprio non riuscivo a rasserenarmi. Neanche la coca sortiva l’effetto desiderato. Ero solo Samantha era andato a casa di Cinni a mostrare il suo nuovo seno. Il pensiero della radio girava vorticosamente nella mia mente come un tormento. Vi mancavo da diversi mesi, ma a Potenza la vendita della Radio non aveva ancora prodotto i suoi effetti. A Radio Londra tutto procedeva come se nulla fosse accaduto. Vidi l’orologio, erano le 22,55, l’ora in cui partiva la sigla del mio programma “Follow Me” che nel frattempo Marco aveva affidato a Gigi, un nuovo e bravo speaker. Solo qualche mese prima a quell’ora ero seduto davanti al mixer con i dischi e i cd già in fila e le cassette degli stacchetti posizionate. La nostalgia era tanta e decisi di telefonare in radio. Gigi alzò la cornetta e mi mise in attesa. Sentivo la musica della diretta e il lavoro di Gigi alle prese con la piastra per il posizionamento degli stacchetti. Partì la sigla. «Follow Me, cinquantacinque minuti di easy rock ed affini con Gigi Sassini». La mia voce di qualche anno prima era allegra e gioiosa, scoppiettante e grintosa. Dopo la sigla Gigi lesse un brano del monologo di William Shakespeare estratto dalla tragedia del Macbeth «La vita è solo un’ombra che cammina: un povero istrione, che si dimena, e va pavoneggiandosi sulla scena del mondo, un’ora sola e poi, non s’ode più ». Dopo qualche secondo di silenzio Gigi fece partire l’attacco melodico di One more Night di Phil Collins. «Ti prego dammi ancora una notte, dammi solo una notte perché non posso aspettare per sempre». «Ho accostato Phil Collins a William Shakespeare» disse Gigi «per farvi capire che ogni momento è importante. La vita è solo un’ombra che cammina. Ancora un secondo, una notte per sognare, stare insieme, per navigare lontano».
Tutto quello che sentivo dalla cornetta era così vero che quasi stentavo a cedere alle mie orecchie. Gigi era molto bravo ed aveva proprio azzeccato l’inizio del programma. Il contrasto tra Shakespeare e Collins evidenziava ancora una volta la forza della radio.
Ero anche io scivolato in quell’attimo.
L’idea che di lì a poche settimane Radio Londra avrebbe cessato le trasmissioni mi ammazzava.
«Pronto Radio Londra»
«Gigi sono Fausto» «Direttore che fine hai fatto ?, qui si sente la tua mancanza, vanno in onda le pubblicità scadute, le tue donne ti cercano». «Chi mi cerca?»« C’è una lettera di una certa Letizia e poi una cartolina di Gaia, ha telefonato anche una tua amica di Università, ma dove sei?».
«Sono a Roma, vendo la radio»
« No, non puoi fare questo ai nostri ascoltatori»
«E’ tardi Gigi, ho deciso, voglio vivere».
«In che senso?»
«Nel senso che la radio è solo un assillo».
«Fausto ricordi le prime parole che hai pronunciato ai microfoni di Radio Londra quasi dieci anni fa»
«Certo»
«Allora ripetile»
«Questa è Radio Londra, noi crediamo che non è possibile allontanare dall'acqua le labbra degli assetati. Radio Londra Potenza, la tua piccola .....grande radio».
In quel momento realizzai che Gigi aveva mandato in diretta la mia telefonata. Fece partire i Survivor con Eyes Of The Tiger.
La canzone scelta da Gigi per evidenziare il mio annuncio recitava queste testuali parole «Troppe volte succede cosi velocemente che tu in cambio di gloria svendi la tua passione. Non dimenticare mai i tuoi sogni del passato. Devi combattere per tenerli vivi.»
In effetti io non avevo combattuto e mi ero arreso, ma incalzai Gigi. «Ti rendi conto che tu sei un fantasma nella notte e che Radio Londra è morta con Antonino. Chiudi la trasmissione e và a casa».
«Aspetta noi siamo ancora in onda e stiamo ancora parlando al nostro pubblico. Facciamo in mondo che questa sia una notte vera salutiamo e ringraziamo tutti coloro che ci hanno scritto o telefonato in questi dieci anni».
Partì Enric Clapton con Wonderful Tonight. Giusto il tempo della canzone e Gigi aveva avvicinato al banco regia i registri sui quali meticolosamente avevamo annotato in tutti quegli anni le telefonate e le frasi dei nostri radio ascoltatori. Dall’altra parte del banco regia aveva sistemato invece la cassetta in legno del Rosso Antico nella quale avevamo conservato le lettere e le cartoline dei nostri fedelissimi.
Ignorandomi completamente, ma tenendo aperta la cornetta, partì con i saluti ed i ringraziamenti. «A costo che dobbiamo fare l’alba» disse Gigi ai microfoni «prima di spegnere il nostro segnale dobbiamo salutare ad uno ad uno i nostri radioascoltatori»
E così partì un’estenuante maratona. Gigi cominciò a leggere tutti gli appunti delle telefonate, anche quelli indecifrabili partendo proprio dal 1982.
Ascoltai in silenzio per circa un’ora. Andava avanti imperterrito, anche se la sua voce si andava spegnendo per la stanchezza. Verso le due arrivò Samantha. Alla sua vista interruppi la conversazione.
LA RADIO È SPENTA
Qualche giorno dopo tornai a Potenza, sentivo la necessità di incontrare i pochi collaboratori superstiti e spiegare loro perché avevo venduto la radio. Al mio ritorno i miei genitori mi accolsero come un eroe. Erano felici per i soldi guadagnati e per il fatto che senza radio forse sarei riuscito a laurearmi. Li salutai velocemente senza soffermarmi molto sui dettagli della vendita e sull’acquisto delle quote della Plus. Corsi nella mia stanza ad accendere la radio. I trasmettitori erano accesi ma il segnale era muto. Telefonai per sapere il motivo ma non mi rispose nessuno. Non riuscivo a capire il motivo di quel silenzio, presi il vespino e corsi in Via Mazzini. Salii le scale con affanno ed arrivato dinanzi la porta esitai per un attimo prima di aprire. Entrai in radio tutto era fermo. Il computer della Jingle Machine era in errore, il lettore multi cd inceppato, le carte disordinate. In regia sul mixer c’era il long plain ‘Titanic’ di Francesco De Gregori spaccato in quattro. Sulla copertina di quell’album uscito proprio nell’anno di fondazione di Radio Londra primeggiava ancora nitida la foto di un pesce su un piatto, riposto in un frigorifero accanto ad un limone spremuto. Ma sulla stessa lungo la fascia di colore grigio c’era scritta questa frase «Caro Capitano la nave affonda e noi topi scappiamo. Non ci resta null’altro da fare. Scappiamo perché non abbiamo più niente da perdere. Scappiamo perché sappiamo che quando la prua affonda, trascina giù con sé anche la poppa. Non vogliamo annegare come quelli della terza classe, da topi in gabbia. Con la nave vanno giù i nostri sogni, le nostre speranze. Affondiamo non per l’iceberg, ma per colpa tua, caro comandante. Hai calcolato male la rotta. Addio Capitano Smith».
In quel modo i ragazzi mi avevano salutato. Sotto il bigliettino avevano anche ordinatamente riposto in fila, i loro mazzi di chiavi. Quel disco spaccato era il segnale che era davvero tutto finito. Così staccai il contatore e liberai le frequenze dal nostro segnale. Mi precipitai subito giù dalle scale.
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